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Greenwashing nell’ecommerce: cosa dice la normativa

Nel corso degli ultimi mesi ha avuto un forte riscontro mediatico il tema del greenwashing, con cui si intende quella strategia di marketing e comunicazione che induce i potenziali clienti a credere che le attività poste in essere da un’azienda, da un’istituzione, ente o personaggio pubblico, siano svolte con attenzione alla tutela dell’ambiente, molto più di quanto non lo facciano in realtà.

Sebbene il concetto sia stato ampiamente diffuso negli anni ‘90,  una forte stretta sulla pratica del greenwashing è arrivata a marzo 2022, con la Proposta di DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO di modificare le direttive 2005/29/CE e 2011/83/UE per quanto riguarda la responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde, attraverso una migliore protezione contro le pratiche sleali e una migliore informazione.

Questa scelta rientra nell’ambito del “New Deal for Consumers”, l’iniziativa tesa a estendere e rafforzare l’applicazione del diritto europeo nella tutela dei consumatori.

Uno dei punti chiave della proposta di direttiva è l’attenzione ai green claimverde, green, amico della natura, ecocompatibile, nel rispetto dell’ambiente –  gli annunci pubblicitari utilizzati dalle aziende per promuovere la propria attività e la propria azienda come sostenibile o eco-friendly

La Commissione europea ha intenzione di vietare un uso inappropriato di tali claim, qualora i vantaggi non fossero dimostrabili, risultassero solo parziali o non potessero essere verificati.

Considerato a tutti gli effetti una pubblicità ingannevole, il greenwashing rientra già tra le competenze dell’AGCM, a cui è affidato il compito di supervisionare sull’uso dei green claim. L’Autorità Garante attualmente approfondisce e valuta ogni caso per verificare il carattere ingannevole o fuorviante delle affermazioni. 

Se riscontra illiceità, può imporre la rimozione dell’annuncio dal sito e-commerce e sanzionare il venditore. Inoltre, ha la facoltà di demandare ai tribunali nazionali il compito di stabilire l’entità del risarcimento a favore dei consumatori ingannati.  

In questo articolo ti parlerò delle modifiche che verranno discusse in Europa sul tema del greenwashing e quali implicazioni comporterebbero per il tuo sito di vendita online.

Cos’è il greenwashing

Innanzitutto vediamo che cosa si intende per greenwashing.

Coniato dalla fusione delle parole inglesi green (verde) e washing (lavare), il termine greenwashing può essere tradotto come ecologismo di facciata e indica il comportamento, ormai diffuso, di vestirsi di credibilità ambientale, ovvero cercare di ingannare i consumatori più attenti alle tematiche legate alla tutela del pianeta trasmettendo un’immagine attenta alla sostenibilità, al risparmio energetico nei processi produttivi e al cambio climatico.

Il concetto è stato mutuato dal termine “whitewashing” – letteralmente imbiancare o nascondere – nel 1986, dall’ambientalista Jay Westerveld.  Quindi, la definizione di greenwashing si riferisce proprio al ricoprire di verde le pratiche aziendali, senza che vi siano fondamenti reali.

Tra gli esempi di greenwashing più noti ci sono le famose e tanto pubblicizzate Biobottle di Acqua Sant’Anna che ha promosso come BIO delle semplici bottiglie realizzate in plastica, oppure diversi claim di Coca Cola che definisce le proprie politiche ambientali ecosostenibili pur essendo considerata una delle imprese più inquinanti al mondo.

Nel 2020 la Commissione europea insieme alle Autorità nazionali di tutela dei consumatori ha coordinato un’indagine approfondita sulla pratica del Greenwashing. I risultati sono stati resi noti nel 2021 e hanno evidenziato quanto il fenomeno sia aumentato proprio in relazione alla crescente richiesta di prodotti green.

Lo screening ha interessato in particolare i siti web e i brand di abbigliamento, cosmetici e elettrodomestici che si dichiaravano rispettosi dell’ambiente. Analizzando 344 affermazioni dubbie è emerso che: oltre il 50% dei negozi online non rende noti riferimenti tramite i quali verificare le informazioni; quasi il 40% delle affermazioni non fornisce prove circa la sostenibilità del brand.

La conclusione a cui si è arrivati tramite questi dati è stata che nel 42% dei casi le affermazioni potevano essere false, ingannevoli o rientrare tra le pratiche commerciali sleali.

| Come riconoscere il greenwashing?

La sensibilità dei consumatori verso tematiche legate alla sostenibilità è cresciuta moltissimo negli ultimi anni, tanto da indurre molte aziende a rivedere le politiche aziendali per adeguarsi a questa nuova esigenza della società.

Tuttavia esiste una linea di demarcazione molto netta che distingue il greenwashing dal green marketing, segnata dall’impegno reale verso atteggiamenti ecologici ed ecosostenibili.

È normale che un venditore desideri far leva su temi di interesse comune ma enfatizzare o, addirittura mentire, sulle politiche green può rivelarsi molto controproducente, sia per il danno d’immagine che implica che per il rischio di ricevere sanzioni da parte dell’autorità. 

Come si riconosce si riconosce un’azienda che fa greenwashing?

Le pratiche più comuni di greenwashing vedono un uso eccessivo e gonfiato di termini eco-friendly, la mancanza di dati a supporto della veridicità della comunicazione, l’uso di etichette e certificazioni ambientali senza nessun valore legale, la scelta di un packaging dall’aspetto green che non ha nulla a che vedere con il prodotto o le politiche ambientali dell’azienda.

Le caratteristiche principali delle pratiche di greenwashing, quindi, stanno nell’uso di un linguaggio generico o troppo complesso per gli utenti comuni, la comunicazione poco chiara e incompleta, in cui vengono enfatizzati solo alcuni aspetti del processo produttivo tacendo completamente su altri punti, l’utilizzo di immagini di paesaggi verdi e incontaminati per far leva sull’aspetto ambientale omettendo comportamenti decisamente meno green, come un eccessivo impiego di risorse energetiche o l’emissione ingente di sostanze inquinanti durante il processo produttivo.

Greenwashing normativa

Cosa dice la normativa sul greenwashing?

Fino ad ora la Normativa italiana non contiene riferimenti ben precisi al greenwashing ma, forme di tutela del consumatore possono essere rinvenute già nell’articolo 41 della nostra Costituzione, in cui si concede la libertà d’iniziativa economica nel rispetto dei consumatori.

La prima espressione di tutela del consumatore dalla pubblicità ingannevole è il d.lgs. n. 74 del 25 gennaio 1992 mentre, con la direttiva Direttiva 97/55/CE, è stato attribuito all’AGCM il potere sanzionatorio per le pratiche che rientravano nella nozione di pubblicità ingannevole.

Un momento di svolta è rappresentato dal Codice del Consumo, che riconosce e tutela i diritti basilari dei consumatori: tutela della salute, della sicurezza e qualità dei prodotti e dei servizi, adeguata informazione e corretta pubblicità, correttezza, trasparenza e equità dei rapporti contrattuali, correttezza, lealtà e buone fede nelle pratiche commerciali.

Tra i punti di riferimento sul tema, è fondamentale tener presente il Codice di autodisciplina pubblicato nel 2014 dall’IAP, l’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria, in cui si dispone che la comunicazione pubblicitaria di carattere ecologico debba possedere elementi inequivocabili, senza nessun tipo di abusi nelle formule sulla tutela ambientale.

No greenwashing: la proposta dell’Europa e il divieto di Greenwashing

Considerando l’obiettivo primario del Green Deal europeo – diventare il primo continente climaticamente neutro entro il 2050 – la Commissione europea ha intenzione di tutelare i consumatori che vogliono contribuire alla transizione green, dando loro la possibilità di acquistare in modo consapevole.

Già con la recente Direttiva Omnibus (direttiva Ue 2019/2161 o Better enforcement and modernisation Directive), approvata dal Parlamento europeo il 17 aprile 2019,  si è rimarcata la necessità di una maggiore trasparenza dei mercati online (in proposito è fondamentale conoscere anche le nuove disposizioni sulle recensioni online e gli sconti online), mettere un freno alle pubblicità ingannevoli e pratiche commerciali scorrette nell’ecommerce e impedire l’uso illecito dei dati personali in armonia con GDPR.

Tuttavia, il Parlamento Europeo vorrebbe rinforzare ancora di più le norme a tutela dei consumatori sulle pratiche sleali e migliorare la qualità dell’informazione. 

Per tutelare i consumatori dalle pratiche commerciali scorrette, la Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio si concentra su  due aspetti in particolare:

  • divieto di greenwashing;
  • l’obsolescenza programmata.

Vediamoli nel dettaglio.

Divieto di Greenwashing

Per quanto riguarda il divieto di greenwashing, viene proposto di includere alla normativa precedente altre caratteristiche su cui il merchant non deve ingannare il consumatore: impatto ambientale, durabilità e riparabilità. 

Le pratiche ingannevoli, invece, dovrebbero essere valutate caso per caso. E, tra di esse, andrebbero incluse le dichiarazioni prive di obiettivi ben definiti e la mancanza di dati reali e consultabili. 

La proposta vorrebbe ampliare anche la black list delle pratiche commerciali considerate comunque sleali con nuove pratiche vietate, tra cui:

  • l’esibizione di un marchio di sostenibilità non certificato o stabilito da autorità pubbliche;
  • il possesso di una dichiarazione ambientale generica, priva di riscontri pratici;
  • la formulazione di una dichiarazione ambientale relativa ad un prodotto considerato nel complesso, relativa ad un solo aspetto del bene.

Obsolescenza programmata

Un altro dei propositi del Parlamento Europeo è di tutelare il consumatore dal fenomeno dell’obsolescenza programmata, che limita la durabilità e riparabilità del prodotto, senza che l’acquirente ne sia a conoscenza e abbia la possibilità di scegliere un’alternativa più duratura e più semplice dal smaltire.

Tra le pratiche commerciali considerate comunque scorrette, quindi, potrebbero essere aggiunte anche pratiche relative all’obsolescenza programmata, come:

  • omettere di informare il consumatore circa l’esistenza di una caratteristica introdotta nel bene per limitarne la durabilità;
  • indurre il consumatore a sostituire materiali di consumo del bene prima di quanto sarebbe necessario per motivi tecnici;
  • omettere di comunicare che il bene è progettato per una funzionalità limitata quando si utilizzano materiali di consumo, pezzi di ricambio o accessori non originali.

Chi vigila sul greenwashing

Il compito di vigilare sulla concorrenza e contrastare le pratiche commerciali scorrette è affidato all’Antitrust, che recepisce anche le segnalazioni sulle pratiche di greenwashing.

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) valuta singolarmente il carattere ingannevole o fuorviante di un’affermazione e, una volta accertata la violazione, può imporre al venditore di rimuoverla dal sito e-commerce, comminare una sanzione ed eventualmente demandare ai tribunali nazionali il compito di stabilire il risarcimento del danno ai consumatori ingannati.  

Oltre all’AGCM, le denunce possono essere recepite anche dall’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria (IAP) e dal Tribunale civile. 

Cosa può fare per te l’Avvocato dell’Ecommerce

Utilizzare una strategia di comunicazione basata sul ridotto impatto ambientale della tua attività potrebbe essere molto proficuo, a patto che la tua azienda attui realmente comportamenti positivi nei confronti dell’ambiente.

I consumatori, infatti, sono diventati molto sensibili alle tematiche ambientali e sono propensi ad acquistare da brand attenti all’ambiente e che mettono in atto pratiche green.

Tuttavia, cedere alla tentazione di esagerare sui comportamenti sostenibili può costarti caro sia in termini economici che d’immagine.

Alcune pratiche di greenwashing possono già essere considerate pratiche commerciali sleali e ingannevoli e, come tali, sono vietate dalla Normativa italiana. Prossimamente, poi, potrebbe arrivare il giro di vite dell’Unione Europea sta manifestando le sue intenzioni di irrigidire le regole sui green claim.  

Se hai dubbi sullo stile della tua strategia di comunicazione e non vuoi cadere in pratiche di greenwashing senza volerlo, contattami. Ti aiuterò a comunicare nel modo corretto le politiche ambientali della tua azienda e a fare del green uno dei tuoi punti di forza.

Floriana Capone

L’Avvocato dell’Ecommerce
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