
Il prezzo è una delle variabili fondamentali nell’e-commerce, tanto che il 60% dei carrelli abbandonati dipende dai costi aggiuntivi.
Tuttavia, in alcuni casi, i merchant sono “costretti” ad applicare il prezzo imposto dai rivenditori.
Ma i grossisti possono davvero imporre i loro prezzi? L’imposizione del prezzo di vendita è legale? Il prezzo imposto dai rivenditori deve essere rispettato?
Vediamolo con questo articolo.
Indice
| Pricing strategy e prezzo imposto
La pricing strategy di un ecommerce incide in maniera inesorabile sulle decisioni d’acquisto del cliente.
In genere, per impostare i prezzi di vendita di un prodotto si prendono in considerazione le scelte della concorrenza, il valore del prodotto, e in generale i costi, compresi quelli relativi al prodotto.
Però, capita spesso che, soprattutto tra i rivenditori, i merchant siano “costretti” ad applicare un prezzo imposto dalla casa madre.
L’imposizione di un prezzo può avvenire:
- in maniera velata, attraverso l’invito ad adeguarsi al prezzo raccomandato;
- una vera e propria minaccia di interrompere il rapporto commerciale in caso di mancato adeguamento.
Ma i produttori possono davvero imporre i loro prezzi? L’imposizione del prezzo di vendita è legale?
Il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea vieta i patti anticoncorrenziali, cioè quegli accordi tra imprese che possono pregiudicare il commercio tra gli Stati membri e che possono impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato.
Infatti, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato si è espressa in questo senso relativamente all’imposizione dei prezzi da parte delle case madri, decidendo di avviare un’istruttoria nei confronti di Sofar, una nota azienda del settore farmaceutico.
Ma vediamo cosa dice la normativa sui prezzi imposti e sugli accordi tra grossista e rivenditore.
| Il prezzo imposto: cosa significa
Le aziende produttrici o i grossisti stabiliscono il prezzo finale al quale il prodotto deve essere proposto sul mercato.
La politica del prezzo imposto può essere di tre tipi:
- prezzo fisso per tutti i rivenditori;
- prezzo minimo sotto il quale non si può scendere;
- prezzo massimo obbligatorio, da considerare per eventuali scontistiche o promozioni.
La prima opzione rappresenta quella più vincolante, mentre le altre due possono essere considerate come politiche dei prezzi consigliate.
Qual’è la differenza tra prezzo imposto e prezzo consigliato?
Quando tra fornitore e rivenditore vige un accordo, nella maggior parte un’imposizione, per cui il rivenditore deve mantenere un certo prezzo al pubblico, si parla di prezzo imposto (RPM).
L’imposizione può essere attuata sia direttamente che anche in modo indiretto, attraverso “minacce, intimidazioni, avvertimenti, penalità, rinvii o sospensioni di consegne o risoluzioni di contratti in relazione all’osservanza di un dato livello di prezzo”
Al contrario, se non c’è da parte del fornitore un’imposizione, diretta o indiretta, la scelta del prezzo è legittima perché si tratta di un comportamento unilaterale.
Se poi il fornitore suggerisce il prezzo al pubblico e il rivenditore può decidere se adeguarsi o meno, si tratta di un prezzo consigliato.
Quindi, la differenza tra prezzo imposto e prezzo consigliato – definito anche prezzo di listino, prezzo al dettaglio consigliato (RRP) o prezzo al dettaglio suggerito (SRP) – sta nell’esistenza di un accordo sui prezzi.
Un esempio di prezzo imposto è quando il produttore intima al rivenditore di applicare il prezzo suggerito minacciando di interrompere il rapporto di fornitura.
| Accordi verticali: cosa sono?
Si parla di accordo o intesa verticale per indicare gli accordi di vendita e acquisto che intercorrono tra imprese che fanno parte della stessa filiera produttiva.
L’esempio più semplice è quello dei grossisti di abbigliamento e i commercianti al dettaglio.
Secondo l’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) ogni comportamento restrittivo della concorrenza è vietato.
Questo significa che, secondo la normativa:
- il produttore non può vietare la vendita dei prodotti nei siti e-commerce dei suoi rivenditori;
- il fornitore, o il produttore, non può dar vita ad accordi che prevedano prezzi imposti.
Il produttore, quindi, può solamente suggerire i prezzi di vendita.
Questo significa che il venditore non ha nessun vincolo.
Quindi, la politica dei prezzi nell’e-commerce deve poter essere determinata autonomamente in base alla propria strategia di mercato.
Qualsiasi tipo di minaccia o ritorsione può essere punita dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) e dalla Commissione Europea, con sanzioni molto salate: le multe possono raggiungere il 10% del fatturato aziendale.

| Le norme che vietano i prezzi imposti
Le regole principali che riguardano la concorrenza e vietano gli accordi tra imprese sono:
- l’art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, già citato e
- l’art. 2 della Legge 287/90, per la tutela della concorrenza e del mercato.
Il fondamento di queste norme è che non si deve impedire, restringere o falsare il confronto tra imprese concorrenti.
Il TFUE, in particolare, mira a tutelare la concorrenza tra rivenditori dello stesso marchio (detta anche concorrenza intra-brand).
Cosa dice l’articolo 101 del TFUE?
L’articolo 101 del TFUE vieta ogni tipo di accordo tra imprese che riguardi:
- la fissazione del prezzo tra imprese;
- la limitazione o il controllo della produzione, degli investimenti o della sviluppo dei prodotti;
- la ripartizione del mercato o delle risorse;
- la creazione di uno svantaggio nella concorrenza, avvantaggiando un concorrente rispetto ad un altro per lo stesso prodotto o per prestazioni equivalenti;
- l’imposizione di prestazioni extra come clausola per la conclusione del contratto.
ATTENZIONE:
Secondo il Trattato si presumono legittimi gli accordi verticali tra imprese che detengono quote di mercato inferiori al 30% del mercato rilevante sul quale vende i beni o servizi oggetto del contratto.
Leggi anche: E-commerce e pratiche commerciali scorrette.
| Prezzi imposti: il caso SOFAR
Un settore interessante per quanto riguarda i prezzi imposti nell’e-commerce è quello dei farmaci e degli integratori venduti dalle farmacie online o su Amazon.
Negli ultimi anni, molte farmacie hanno iniziato a vendere online oltre che nei loro punti vendita fisici, creando un ampio dibattito sulla concorrenza e sui prezzi imposti.
Il caso SOFAR è emblematico, vediamo perché.
SOFAR, un’azienda che produce farmaci, integratori e dispositivi medici, è stata accusata dal titolare di una farmacia di condotte anticoncorrenziali.
In seguito alla vendita di un integratore tramite la piattaforma Amazon, parrebbe che l’azienda abbia raccomandato al titolare della farmacia di allineare il prezzo a quello indicato dalla società.
Dal provvedimento dell’Antitrust si legge che la farmacia in questione, però, avrebbe deciso di proseguire secondo la propria strategia dei prezzi, andando incontro ad una serie di penalizzazioni da parte di SOFAR, tra cui mancate consegne di quel specifico integratore e minacce di risoluzione dell’accordo commerciale.
In sua difesa, SOFAR ha sostenuto che la possibilità di vendere su Amazon era riservata solo ai rivenditori a ciò autorizzati.
La segnalazione della Farmacia all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha portato all’avvio di un’istruttoria nei confronti di SOFAR per verificare:
- l’adozione di politiche commerciali restrittive per la concorrenza nella vendita online;
- l’imposizione di prezzi minimi di rivendita nell’e-commerce;
- l’ostacolo alla vendita su piattaforme terze o marketplace (Amazon).
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